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Carl Icahn è un famoso corporate raider con un patrimonio che supera i 20 miliardi di dollari, e la sua Ichan Enterprises è il suo braccio “armato” per riuscire negli obiettivi che da anni persegue. Tali obiettivi si possono riassumere come: entrare cospicuamente nei consigli di amministrazione delle grosse corporations e spingerle verso il cambiamento.

Il cambiamento, per un corporate rider, significa rilanciare o smembrare un’azienda quasi sempre indebitata o sottovalutata in borsa.

L’obiettivo di Icahn per il 2013 era (ed è) la Apple. Vorrebbe infatti riuscire a prenderne il controllo tramite l’acquisizione di un numero sufficiente di azioni per poi forzare la compagnia ad usare gli utili per ripagare gli investitori riacquisendo la proprietà di buona parte delle azioni emesse (buyback).

Questa strategia ha sicuramente un impatto positivo sul portafoglio degli azionisti nel breve termine. In questa eventualità infatti si avrebbe un immediato innalzamento del valore delle azioni, a tutto vantaggio di quelle persone che le vogliono vendere.

 

Qual’è il rovescio della medaglia?

Tale approccio è sicuramente proficuo se adottato con aziende sull’orlo del baratro o con aziende a basso livello tecnologico, ma diventa molto rischioso se applicato ad un’azienda come la Apple.

La Apple vive (come tutte le aziende del settore) di ricerca e innovazione, design, tecnologia e visione futuristica combinati. Come tutte le realtà aziendali ad altissimo tasso tecnologico, Apple è un “gigante dai piedi di silicio” che deve combattere a suon di idee con una concorrenza più che agguerrita. Le aziende di questo tipo hanno spesso un successo iperbolico, ma la loro base rimane un prodotto per certi versi effimero. Non si parla infatti di una compagnia che produce un bene primario come ad esempio derrate alimentari di qualche tipo, che non rischiano praticamente mai di andare fuori moda, qui si tratta di essere sempre un passettino avanti agli altri tecnologicamente, ma anche a livello di immagine.

Quindi usare i guadagni per ricomprare le proprie azioni, invece che per perseguire gli obiettivi di miglioramento dei prodotti, potrebbe essere, sul lungo termine, una scelta suicida.

Ci sarebbero un’infinità di modi migliori per reinvestire il capitale, anche idee pazze come quella di abbassare drasticamente i prezzi dei dispositivi utilizzando gli introiti sarebbero, alla lunga, più paganti. Ciò infatti permetterebbe la penetrazione del brand ad un livello ancora maggiore e, di conseguenza, anche dei servizi accessori forniti da Apple, che col tempo darebbero modo di recuperare il mancato guadagno.  Anche cercare di acquisire o di costruire una propria  rete di comunicazione cellulare potrebbe essere un modo intelligente per rinforzare l’azienda.

Staremo a vedere se Tim Cook saprà resistere a Carl Icahn!

By INFINITY

In queste settimane molti utenti della rete avranno sentito parlare del passaggio da un sistema di indirizzamento IPv4 a uno IPv6 per i siti internet. Ma cosa significa? Qual’è la differenza tra IPv4 e IPv6?

 

Innanzitutto: cos’è un indirizzo IP?

Senza andare troppo nel dettaglio, l’indirizzo IP è l’identificazione fisica di una macchina presente in rete.
Tutti i siti internet hanno un loro indirizzo ip nella forma classica (IPv4)  xxx.xxx.xxx.xxx, cioè quattro blocchi di 3 cifre ciascuno. Sugli hosting condivisi più siti condividono lo stesso indirizzo IP.

Anche il vostro computer ottiene un indirizzo IP dal vostro provider quando vi collegate ad internet, un indirizzo solitamente dinamico, che viene quindi assegnato più volte a utenti molteplici (mai a due o più nello stesso momento) in modo da identificare univocamente il computer all’interno del web.

 

IPv4,  cosa vuol dire?

Come già detto l’indirizzo IPv4 è formato da 4 blocchi di 3 cifre. Ciascun blocco assume valori decimali che vanno da 0 a 255 (quindi 256 valori), 256 è uguale a 28.

Le totali combinazioni possibili sono quindi date dal prodotto del massimo numero di indirizzi univoci che ciascun blocco può contenere, quindi 28*28*28*28 = 232, si puo dire che tecnicamente l’IPv4 utilizza 32 bit per gli indirizzamenti.

Questa cifra è pari a circa 4.3*109 = 4,300,000,000. Questo numero di identificatori univoci inizia a stare stretto vista la crescita esponenziale dei dispositivi che accedono ad internet.

 

E IPv6?

Per ovviare al problema si è quindi creato un nuovo protocollo chiamato IPv6, questo protocollo utilizza 128 bit, quindi in pratica non si hanno più 232 indirizzi ma 2128, che corrisponde a circa 3.4*1038 indirizzi utili (provate a scrivere 34 seguito da 37 zeri per avere un’idea della proporzione!) e permette così di gestire un numero molto più grande di indiizzi univoci.

 

Come si presenta un indirizzo IPv6?

Come 8 blocchi di 4 cifre esadecimali ciascuno, separati dai due punti, ad esempio:
3ffe:1900:4545:0003:200:f8ff:fe21:67cf  è un indirizzo IPv6 valido.

 

Cosa cambia per gli utenti?

Poco o niente. La transizione da IPv4 a IPv6 è praticamente trasparente per la maggioranza degli utenti (è già iniziata!). Solo chi possiede apparecchi piuttosto antiquati potrebbe essere costretto a dover scaricare del software aggiuntivo che permetta la conversione degli indirizzi. Ma, tenendo conto della breve vita media della tecnologia al giorno d’oggi, non ci saranno scene drammatiche in puro stile “millennium bug”.

by INFINITY